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  • ALESSIA BIASATTO

    L’U Bein bridge, 2 chilometri di suspense

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    Io e i ponti abbiamo sempre avuto un rapporto controverso; da romantica quale sono ho letto di ponti, ho viaggiato per cercarli eppur li temo. Ricordo ancora l’emozione ancora intatta della prima volta che passai in macchina sul ponte Vasco de Gama a Lisbona, ai tempi il più lungo d’Europa. E mi viene in mente quel sentimento di gioia esasperata provato guardando la sagoma scura del ponte 25 de abril. Il sole tramontava dietro la struttura di metallo e gli si sovrapponeva creando l’effetto di una foto contro luce. Anche lì però mi sono sentita assalita da una paura tremenda e i sintomi sono sempre gli stessi: si accelera il battito cardiaco, cerco un passamano dove aggrapparmi, mi scappa la pipì. É panico.

    Ad Amarapura sono andata a cercare l’U Bein Bridge, il ponte in tek più lungo al mondo che si trova curiosamente nella povera Birmania.

    Non vorrai attraversarlo a piedi? – mi diceva il grillo parlante- Prendiamo una di quelle barchette e remiamo fino all’altra sponda, vero?”. amarapura_ale-7

    E poco dopo mi trovavo, invece, a calpestare la sua scricchiolante struttura in legno come un cane che attraversa una grata e ne sente la precarietà sotto i cuscinetti delle zampe. Il ponte procedeva a serpentina lungo quasi due chilometri a finire nel rosso mattone del monaco che, sfrecciando in bicicletta, lasciava dondolare i listoni dietro di lui. Quel movimento lo percepivo forte come quello delle onde create da un motoscafo in planata vicino a un povero nuotatore. Intanto il verde dei campi che si spandeva intorno alle radure del lago Taungthamancome era la mia unica consolazione.

    Credo che questo attraversamento sia stato comunque un atto scaramantico e non una manifestazione di coraggio. Infatti dicono che porti sfiga non percorrere l’U Bein a piedi. E non sia mai!

    Lungo il cammino c’erano fotografi, venditori di cibo, monaci di tutte le età… perchè oltre il ponte si erge uno dei monasteri buddisti più noti in Birmania, una scuola dove i bambini provano l’esperienza religiosa e gli adulti possono essere monaci anche per soli 15 giorni.

    Il ponte, per il pullulio di gente, mi ricordava il giardino di un liceo all’ora della ricreazione: venditori di granchi fritti come merendine, fotografi come bidelli, turisti come bambini, tettoie disseminate lungo il percorso per ripararci, tutti, dal sole. Ho incontrato anche Daisuke, un ragazzo giapponese in Birmania per un ritiro spirituale volto a combattere l’ansia. Ma quale ansia, per me è stato come Virgilio all’inferno, una guida placida che mi ha portato con pazienza fino a riva. Forse allora il ritiro spirituale lo dovevo fare io.
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