Singapore mi ha fatto sempre pensare ai bachi da seta e a Hervé Joncour, il protagonista di quel romanzo di Baricco che ci andava spesso per i suo affari tessili. Non all’aria pulita da prato verde svizzero che vi ho respirato, ai giardini, ai parchi, alla varietà di fiori che la punteggiano.
È lo snodo commerciale del mondo, emblema di un modello proattivo di economia, paese multietnico che si regge su una lunga storia di emigrazione che ne fa oggi lo stato più densamente popolato del globo. Ingegneri malesi insieme a sgozzatori di anatre cinesi che condividono lo stesso fazzoletto di terra.
Oltre a questo Singapore per come è stata concepita urbanisticamente, realizza un intreccio tra uomo e natura che dà origine ad uno skyline armonico, verde e rispettoso non solo dell’ambiente ma anche di chi, in quel contesto, ci vive.
Non solo cemento, palazzi altissimi e architettura futurista dunque. Siamo nella Svizzera asiatica, ambita ma poco accessibile, con le sue leggi bizzarre e anche inaspettatamente dure.
Sono atterrata senza molte informazioni, con la curiosità di ficcare il naso nell’isolone di cui tanto si sente parlare per tematiche finanziarie. Avevo chiaro che non si possono buttare i mozziconi per terra onde evitare pene gravissime e che è un mondo ricco dentro un’Asia ancora arretrata.
Avevo scommesso sui giardini botanici, sentivo che valeva la pena visitarli qualunque fosse il prezzo e per una strana combinazione, come una novella Alice, quella mattina in aeroporto mi sono trovata davanti al Cappellaio matto: un burlone insistente che mi ha estratto dal cilindro tutte le possibili attrattive della città e i prezzi dei biglietti combinati. Grazie al suo entusiasmo e al suo orologio patacca, i Gardens by the Bay sono stati la mia prima tappa.
Sbucando dalla metro davanti al Marina Bay è inevitabile sentirsi per un momento catapultati nel paesaggio incantato immaginato da Lewis Carrol. Sul versante opposto si ergono, come fungoni, fasci di strutture in metallo a formare un boschetto di alberi artificiali che si illuminano magnificamente di notte. Non c’è bisogno del coniglio bianco di Alice per trovare il cammino che è ben indicato: ero libera di saltellare con la testa per aria tra giardini e alberi, tra aiuole fiorite e vialetti. Quando improvvisamente mi sono scontrata con il Flower Dome, la più grande serra al mondo, una bolliciona di rugiada appoggiata nel verde. Lì dentro è riprodotta con immensa cura la flora dei cinque continenti. Ci sono baobab foreste di cactus, ulivi, querce, fiori che sembrano la collaborazione tra un grafico estroso e un sarto futurista.
Festeggiando il mio non compleanno sono arrivata fino alla Cloud Forest, la sorella gemella della prima serra, ma più umida e fumosa. All’ingresso la riproduzione di un’enorme cascata pluviale bagna i piedi e apre il cammino a un dedalo di scalinate scivolose che ruotano sospese intorno a una montagna ricoperta di piante tropicali. Ecco un bellissimo esempio di bio edilizia e design. Ed ecco me a scalarlo come se fosse un enorme Stregatto che appare e scompare nella nebbia. Mi sono sentita anch’io un germoglio pronto a sbocciare in una storia irreale di trasformazione.
Singapore è il paese delle meraviglie.
Singapore delle meraviglie di Alessia Biasatto è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 4.0 Internazionale.
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