La divisione tra nord e sud del Vietnam si connota per tutti, principalmente, dal punto di vista politico. I meno giovani avranno vissuto in diretta le crude vicende che opposero il governo indipendentista di Ho Chi Min, con sede ad Hanoi, a quello filoamericano del sud, facente capo alla provincia meridionale di Saigon.
Come spesso accade, a guerra finita,la distinzione tra le due zone del paese si mantiene, sia considerando l’operosità industriale sia tenendo semplicemente conto dell’influenza del clima sull’indole degli abitanti.
L’affollatissima Ho chi Min, infatti, (nome nuovo di Saigon) soprende per il suo inverno mite, paragonabile a una nostra avanzata primavera, oltre che per l’attività frenetica dei suoi 13 milioni di abitanti e il rombo diabolico dei suoi 8 milioni di motorini. La regole che consentono al traffico una certa sostenibilità sulle due ruote sono due: vai pianissimo ma non ti fermare mai (piuttosto schiva!) e stai sempre, ma proprio sempre, a destra, nel serpentone.
Gli scooter infatti sono l’unico mezzo su cui è possibile sgusciare via dal traffico se non si vuole passare la vita, comodi ma imbottigliati, in uno dei tanti taxi. La gestione di tale mole di veicoli è essenziale per garantire la grande laboriosità della provincia e lo sa bene anche il governo, che applica tasse abominevoli sull’acquisto di autoveicoli. Le imprese coreane, giapponesi e persino italiane, che qui trovano terreno fertile e operai motorizzati per il loro business, sono sempre più numerose.
La Nike come si sa ormai dalle etichette, produce la maggior parte dei suoi capi proprio in questa zona e non è raro trovare bancarelle con magliette in microfibra svendute a pochi euro nei mercatini all’aperto.
Certo che sono vere, vi rispondo, se è vero che so leggere nel pensiero.
Semplicemente esistono produzioni di qualità diversa e prodotti leggermente fallati che non vengono inviati ai costosi negozi d’occidente ma seguono un iter di vendita domestico, pur rimanendo parte di un’economia in costante crescita.
Saigon, d’altra parte, è abbastanza più organizzata di Hanoi, anche se forse esteticamente più brutta, ed è stata capace di creare più consumatori autoctoni di quanti non ce ne siano nella città settentrionale.
I locali per straricchi sono già una realtà tangibile e non hanno niente da invidiare ai luoghi europei più trendy, anche se qui sono pieni dei vietnamiti più intraprendenti, di arabi facoltosi e di professionisti espatriati.
Si rivede così quel binomio già presente in molti paesi, la divisione tra capitale economica e amministrativa, che noi italiani troviamo familiare nella contrapposizione tra Milano e Roma.
Sì, direi proprio che qui è il caso di parlare di una Saigon da bere.
Il rapporto clima-produttività, però, è rovesciato.
Ad Hanoi a febbraio fa freddo e guarda caso la North Face, un’industria nata ecologista e statunitense, ha deciso di impiantare le proprie fabbriche proprio qui. Non credo sia perchè le oche residenti sono più pennute, anche perchè i filling dei popolari piumini, se li tagliamo, non sono affatto di alta qualità. Piuttosto credo che la manodopera ed i materiali di Hanoi siano ancora più economici e si punti soprattutto sui grandi numeri e sulla griffe.
Le giacchette di tutti i colori vendute in ogni angolo della capitale costano poco più di dieci euro ma spesso sono meno resistenti e calde di quelle esportate.
Nessun vietnamita del nord le indossa per proteggersi, a differenza dell’outfit nike che va a ruba anche tra gli scooteristi di Saigon.
E se fosse un caso? Dico solo che la mia giacca originale North Face costata un occhio della testa in Europa veniva tastata dai mercanti settentrionali con una certa incredulità.
Comunque, per il momento non ho intenzione di andare in Patagonia a verificare sul serio la tenuta dei miei nuovi capi tarocchi: chiuderò un occhio e penserò che fa sempre comodo una leggera difesa contro l’aria condizionata o bel supporto imbottito su cui schiacciare pisolini in aereo.
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