Indonesia senza filtro
l paradiso dei surfisti. Avevo etichettato Bali in questo modo, perché i conoscenti tornati dall’isolotto indonesiano erano quasi tutti bellimbusti lampadati che avevano visto solo la sconcertante capitale Denpasar, famosa per un mercato di animali strani, e la spiaggiona dalle dolci onde di Kuta, diventata oggi la mecca del surf. Documentandomi capii che avrei visto anche molti campi di riso e che c’era in ballo un colore nuovo, un verde che quando lo vedi sullo schermo pensi ad un’impennata dei livelli di saturazione in Bridge; verde che scatenerebbe una levata di scudi contro i filtri di Instagram perché rendono stupendo anche un gatto bagnato e infreddolito dandogli una luce che non esiste in natura e annullano la realtà esaltando i sentimenti. Ma qua non c’è bisogno.
A Bali quel verde que te quiero verde esiste e potresti rimanere ore a contemplarlo. Le distese infinite di risaie accendono la fantasia verso bagni di riso e impacchi di fango. E’ stata una delle scoperte più belle, ma, lo sapete, da sarda trapiantata coltivo la ricerca spasmodica di una tonalità d’azzurro che mi riporti all’infanzia. É un azzurro difficile da spiegare per chi in Sardegna non è mai stato. Lo chiamiamo “azzurromardisardegna”. E non è il solo a trafiggere e accendere lo spirito, ma, insieme a lui, lavorano il contrasto con lo sfondo, il colore del sole, la grossezza della sabbia, e poi l’odore che attiva feromoni nuovi, l’essenza di macchia mediterranea, la pianta grassa che se non stai attento ti punge i piedi, odore di legno e reti da pesca sul bagnasciuga, di brace che apre lo stomaco. L’ho sempre paragonato a un concerto, è l’Orchestra della Scala di Milano che suona l’Inno alla gioia di Beethoven. E’ Pavarotti che intona Nessun dorma. Un’emozione simile l’ho trovata in un arcipelago tra Bali e Lombok, il vero perché del mio viaggio. Si chiamano Gili Islands, letteralmente “Isole Isole”- perché non si sono disturbati a dargli un altro nome. Effettivamente sono isole isole, proprio isole. Ecco cosa intendeva Dio con Paradiso. Paradiso paradiso!
Tre piccoli isolotti, di dimensione leggermente diversa che visti dal satellite sono sassi sul letto di un fiume che uno ci saltella sopra per andare all’altra sponda. Sono popolati di gente da ogni dove, attività commerciali, negozi di subacquea, e hanno un mare che spacca. Ci giri a piedi, oppure su dei carretti trainati da dolci asinelli che sfrecciano nei vicoli sabbiosi: loro non si graffiano nella vegetazione incolta, al massimo ti ci sfregi tu nel tentativo di schivarli. Comunque ti portano le valige all’hotel.
A Trawagan il colore dell’azzurro è più intenso. La barca arriva in un’acqua che ricorda cala Goloritzè. Palme e sabbia bianca finissima. Peccato solo il turismo confusionario che le popola. Fai un balzo più in là è sei a Gili Air, caratterizzata da un passeggio sciccoso su hotel e ristoranti adiacenti al mare. L’acqua un po’ più chiara fa pensare che poco più in lá si arriva alla barriera corallina dove il mare è più mosso e attira nuotatori dotati di maschera pinne e boccaglio in cerca di coralli, vegetazione e animali esotici. Ricorda di più S’Archiddu. Un tonfo più in là c’è Gili Menos, l’isola per chi ama il silenzio, l’ombra degli alberi sulla spiaggia, un turismo più educato e contemplativo. Morale della favola: se il verde brillante è il vostro colore, Bali vi farà impazzire, se il vostro colore è azzurro piscina andate alle Gili, se è il grigio, vi basterà un barracuda infilzato a mo’ di ghiacciolo al mercato serale di Trawagan.
Indonesia senza filtro di Alessia Biasatto è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 4.0 Internazionale.
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