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  • ALESSIA BIASATTO

    Sarajevo, la pista da bob tra Olimpiadi e Miss

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    Non mi sono mai piaciuti videogiochi come Medal of Honour o Call of Duty. E questo non perché abbia qualcosa da contestare a grafici o ideatori. Ma perché (ottimo lavoro ragazzi!) sono fin troppo reali. E la guerra, vista da vicino, se agli altri fa venire la pelle d’oca a me fa sentire una voragine dentro e, in un caso concreto, anche un senso di colpa imprecisato.

    Quando ci si trova a Sarajevo, per esempio, a camminare su quella che era l’antica pista da bob, ora ricoperta di muschio e graffiti e crivellata di proiettili, non può non venire in mente una di quelle missioni virtuali, in cui sei il cecchino e devi far fuori più gente possibile, per salvarti la vita. Peccato però che in questo luogo i soldati ci siano stati davvero e, per quattro anni, abbiano tenuto sotto tiro una città meravigliosa che ora  vuole recuperare il tempo perso, pur non pensando minimamente di cancellare le tracce del suo lancinante passato.

    Se si sale con la funicolare che conduce in cima al monte dove nel 1984 si svolsero le più belle Olimpiadi invernali che io ricordi, ci si troverà di colpo in un ambiente pseudo alpino, con abeti ed angoli ameni dove consumare pic-nic di fine passeggiata. L’aria qui è più pura, ma rimangono tracce inquietanti. Vedrete sentieri punteggiati di avvisi che consigliano di non allontanarsi dai percorsi segnati: è difficile sminare completamente una zona tanto vasta e fuori mano.

    E pensare che me le ricordavo, queste installazioni dell’84, ma erano coperte di neve e piene di pupazzi colorati che suscitavano la mia eccitazione di bambina. La mascotte ufficiale, un lupo simpaticone, era perfino sulle scatole dei biscotti che ci arrivavano da oltre confine. Come me, molte altre persone di Trieste avranno vissuto con simpatia quelle olimpiadi cugine, e c’è da dire che in Bosnia sono rimaste un fiore all’occhiello, sebbene di un vestito poi intriso di sangue.

    Ahimè, temo che il senso di colpa venga da questa vicinanza geografica, dall’inerzia, dal non aver fatto niente quando l’orrore calava sulla città, subito dopo la magia. Io a sette anni non potevo fare molto ma, a 40 suonati, ho capito l’importanza della canzone degli U2, Miss Sarajevo, che vi consiglio come colonna sonora di un viaggio esplorativo, ricco di propositi di conoscenza ed anche redenzione, se avete il mio stesso cruccio.

    La sensibilità di Bono seppe infatti captare quel bisogno di normalità che ancora oggi alimenta una produzione culturale florida, la convivenza possibile di etnie diverse e la bellezza che può essere profonda, oltre che superficiale. Così nacque il concorso di Miss Sarajevo che si tenne in piena guerra, e così si organizzò anche uno dei concerti che segnarono la storia della musica. Andate a vedere Sarajevo, dunque, se volete uscire dai circuiti di massa. Piangerete ma, da turisti responsabili, vedrete cose nuove e significative, di sicuro impossibili da inquadrare in un selfie.

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