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  • ALESSIA BIASATTO

    La pummarola di Toronto: Barcellona calling

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    Bisogna andare a Toronto d’estate per apprezzarne appieno la qualità, almeno se si è italiani. Tutto è un fiorire di orti e giardini, coltivati con l’amorevolezza dell’agricoltore cui il sole non ha inciso le rughe intorno agli occhi né la zappa i solchi nelle mani. Parlo così perché mi sono resa conto che molti di essi sono nostri connazionali, più di qualcuno emigrato nel dopoguerra da zone rurali. E di esse evidentemente si sono portati dietro la scienza perché, vi giuro, ho mangiato pomodori di casa migliori di quelli spagnoli. Non so se sia a causa i fertilizzanti o del riscaldamento globale, ma si ha la tentazione di farsi avvolgere nelle foglie di basilico, per quanto sono grandi e profumate.

    Immagino che, quando la neve si ritira e i primi tepori si diffondono nell’aria intorno al lago, gli abitanti siano svegliati da una frenesia mediterranea, che li porta a ricreare il intorno a sé il loro habitat originario. 

    Orto casalingo a Toronto

    Mi piacerebbe che, agli immigrati di nuova generazione di Barcellona, succedesse lo stesso. Ma, ahimé, a causa della crisi degli alloggi, poche case hanno un giardino decente cui dedicarsi e gli scarsi volenterosi dal pollice bianco rosso e verde sono relegati, tutt’al più, in ingegnosi orti urbani, che nessuno realmente ama come il proprio. I frutti, pertanto, non possono essere altrettanto saporiti, anche se la lingua con cui parliamo ai germogli per farli fiorire è, in fondo, la stessa degl’italo-torontoniani. 

    Queste due città molto lontane per clima e geografia, infatti, hanno più di qualcosa in comune. O meglio Barcellona forserappresenta ciò che fu Toronto per gli italiani che salpavano, negli anni Cinquanta. 

    Una meta sognata, dove è possibile rimboccarsi le maniche per migliorare il proprio destino, anche se il miglioramento, nel caso odierno, è molto meno netto. Il lavoro infatti c’è, ci si sporca le mani, ma è impensabile costruire una fortuna, o perlomeno un benessere, paragonabile ai risultati raggiunti da quel prospero angolo di Nord America. 

    Little Italy

    La forte identità, comunque, espressa dalla cultura e, soprattutto,dai costumi, rimane marcata anche nella città mediterranea, tanto che è più indicato parlare d’un’italianizzazione di Barcellona, piuttosto che di una catalanizzazione dei nostri fuoriusciti. 

    Come nella oldToronto dei calzolai, dei piccoli commercianti e dei primi ristoranti che servivano le lasagne a Little Italy, il brusio dei quartieri di Barceloneta e Gracia è interrotto sovente dall’alto volume dei richiami che si susseguono da un marciapiede all’altro: facile riconoscere espressioni e motti dei diversi dialetti dello stivale. E non finisce qui, perché, con le dovute differenze, si nota in entrambe le città un forte impulso a farsi ambasciatori della cultura italiana con la C maiuscola. Opere teatrali, cinematografiche, mostre di ogni genere ci danno il lustro che forse davamo per scontato in patria, ma siamo ancora fieri ed attivi nell’ esportare.

    Orti urbani e pomodori verdi a Barcellona

    Ciò che oggi richiama i giovani nella città catalana, tuttavia, è più un desiderio di divertimento e di quella spensieratezza persa tra i gangli della politica e soprattutto della burocrazia italiana. La voglia di scappare dall’acredine sociale più ancora che dalla povertà. Non siamo ancora pronti, quindi, a dedicarci con serenità al famoso orticello; la nostra emigrazione è ancora ad uno stadio ribelle e post- adolescenziale. Forse per questo, per fare la salsa buona come gl’italo- canadesi, dovremo attendere ancora qualche anno.

     

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