Per prima cosa non esisterebbe più la poesia “A Zacinto”. O meglio non esisterebbe più il suo movente: la nostalgia del “non ritorno”. Secondariamente, Ugo si troverebbe di fronte a un’isola di pari bellezza, visto che faccio fatica a immaginare un mare più azzurro e delle scogliere più incontaminate ai tempi che furono. Il colore dell’acqua ancora oggi è talmente intenso che pare ci abbiano sciolto dentro dei puffi vivi. E la sabbia in certe spiagge è così bianca, ma così bianca, da sembrare farina 00; nemmeno integrale. Me ne sono portata a casa un pugno per ricordo.
Lo so, non si dovrebbe fare, crediamo, in Italia. Ma quando ti trovi davanti a scogliere così candide e con una voglia matta di sgretolarsi, in fondo sai di non fare un grave danno, perché i granelli faranno presto a rigenerarsi. Anche Foscolo, o meglio Foskolo, come lo chiamano i greci, sarebbe contento del souvenir, finanche orgoglioso. Forse l’unica cosa che potrebbe contrariarlo è il non essere l’unico famoso dell’isola. E soprattutto la coscienza di non essere nemmeno il più amato. Infatti, c’è un nativo tra i greci che lo supera in quanto a popolarità: Alexander Romas, ex ministro del governo e presidente del parlamento greco, di cui sopravvive la mansione che tutti vanno a visitare. Il piccolo Ugo, invece, è relegato in una defilata casetta del centro, abbellita da una modesta targa e un monumento ad memoriam, anche quello un po’ nascosto. Mi permetto di chiamare il nostro eroe “piccolo” perché, lui, come ci racconta, ha vissuto qui solo da “fanciulletto”, ed è quindi plausibile che si ricordi poco-niente dei paesaggi della sua Zacinto.
Se però c’è una cosa capace di irritarlo più della concorrenza del ministro, è il fatto di non essere considerato nemmeno il più grande fra i poeti dell’isola. Lo precede, infatti, l’acclamatissimo Dionisios Solomos, considerato l’inventore della poesia greca moderna nonché dell’inno nazionale ancora in uso. Pensiamo che gli è stato dedicato pure l’aeroporto e le frotte di turisti che si scapicollano giù dagli aerei Volotea e Ryanair, ancora pregne di buona volontà pre-gita, si chiedono subito chi sia e lo cercano su internet. Tempo due orette e saranno sopraffatti anche loro dalla calura; allora se ne infischieranno del poetry-contest e preferiranno la spiaggia alle lettere. Ma sì, amici, andiamo a Zante solo per goderci sole, mare e natura!
Per la cultura ci sarà sempre tempo, ve lo direbbe anche Ugo, se stesse qui ad agosto. Dopotutto mica siamo a Itaca, anche se è molto vicina ed emana onde letterarie. E comunque l’attrazione principale dell’isola resta il Navagio, inutile litigare su chi ha scritto cosa. Tra tutti la spunta, infatti, un relitto di nave, abbandonata in fretta e furia dai contrabbandieri nel 1980 e svuotata in tempo record da gin e sigarette.
È lei che si è arenata in una baia spettacolare ed è stata depredata dalle barche degli isolani. Grazie alle correnti, poi, ha creato la spiaggia più fotografata del Mediterraneo. Qualcuno dice che sia stata una gran trovata del ministero del turismo e che siamo di fronte a una storia inventata a tavolino e a una nave collocata da non si sa quale gru. Ci vorrebbe un campione della letteratura per valutare realmente la consistenza di questa trama. Ma povero Ugo, a te non posso chiedere più niente ormai, nemmeno di mandarmi un segnale dal cielo perché purtroppo, essendo la nave un highlight postumo, nemmeno il Navagio hai potuto vedere con i tuoi occhi!
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