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  • ALESSIA BIASATTO

    Palawan e gli eroi della pulizia

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    Quando ci si informa sui vaccini da fare in partenza per Palawan, le Filippine assumono un’aria un po’ malsana e vibrionica.
    Si vocifera, infatti, che dengue e malaria aleggino come spettri nel sud dell’isola. Effettivamente, una volta arrivati, ci sono sicuramente acquitrini pieni di zanzare ghiotte di polpacci occidentali.
    Inutile preoccuparsi ad ogni pozzanghera, comunque, e secondo me anche sconsigliabile riempirsi di vaccini come quella coppia ansiosa di Mallorca che incontrai ad Hanoi: viaggiavano con un trolley di medicinali e avevano fatto addirittura l’antirabbica.
    Dai, se consideriamo il grado di sviluppo, le Filippine sono un paese relativamente pulito e possiamo capirlo anche dalla cura di sé che hanno gli abitanti. É vero che in giro si vedono tanti cani rognosi, ma questo dipende piú dalla denutrizione che dalla sporcizia.
    Vi dico che fuori dalle stamberghe più remote e immerse nella giungla tropicale si intravedono panni perfettamente stesi ad asciugare sulle grucce, allineati in quel modo caratteristico ed ordinato che previene le grinze. Sono abiti di bambini in molti casi, che mia mamma chiamerebbe decorosi o elegantini, ma soprattutto ben tenuti. Sorprendente il fatto che la cura dell’uniforme di scuola conti così tanto quando intorno può mancare tutto il resto. Spiegabile, però, se si pensa che i filippini non sono solo un popolo amante della pulizia ma anche dell’estetica.

    Ho capito meglio perchè nel passato e nel presente siano stati molto richiesti come collaboratori domestici e, senza voler mancare di rispetto a nessuno, intuisco perchè “filippino” sia diventato quasi sinonimo di bravo cameriere. Voglio dirlo come un complimento perchè i locali sono attenti e molto gentili anche nel rapporto con i turisti, anche se, ahimè, la velocità non è il loro forte.
    Hanno un altro concetto del tempo, imperniato sul fatto che, qualsiasi cosa tu debba fare include una parte di(inutile)attesa. Al ristorante, per esempio, dove i piatti sono molto curati e la presentazione è carina, si riesce a dimenticare quegl’interminabili intervalli di fame nera anche grazie ai modi cortesi del personale. Quando invece bisogna partire con un autobus che non si riempie mai, ecco che qualche imprecazione ti sfugge comunque dalla bocca, perchè la tua pazienza è pur sempre europea.
    Tornando ai domestici volati oltre oceano, c’è da sapere che in patria sono visti come degli eroi. Sono loro, a quanto pare, che sostengono l’economia, loro i pilastri su cui si reggono le palafitte sgangherate dei sobborghi, in cui non manca mai una parabola per vedere l’NBA.
    Di questi tempi c’è da chiedersi come facessero a crearsi velocemente una posizione ed un nuovo status nelle nazioni ospitanti. Ebbene, a sopresa, esiste un ministero dedicato a piazzarli capillarmente nelle famiglie straniere, e funziona ormai ottimamente da diversi anni.
    Se anch’io avessi un ministero così alle spalle, penserei di fare il contrario: stabilirmi con il suo aiuto nelle Filippine, possibilmente in una zona accessibile e con un mare meraviglioso, e montare il mio business di soffici fazzolettini di carta. Se si considera la temperatura esterna, sempre alta anche nelle giornate piovose, l’aria condizionata sparata a mille nei minivan con cui si viaggia e l’umidità che non fa asciugare mai bene vestiti e capelli, i raffreddori sono la costante su cui puntare.
    Concorrenza poi non ce n’è assolutamente, perchè sfido chiunque a trovare nell’arcipelago un supporto da naso piu’ esteso di 10 cm2 e fatto di carta non patinata. Il mio business funzionerebbe, signori politici, e per spingerlo non farò molto altro che distendermi sull’amaca reggendo in una mano l’unica piñacolada con tovagliolo di vera carta salvagocce. Intanto gli altri turisti, con il naso sgocciolante e le dita fradice, sfileranno davanti al mio spaccio di salviette e mi riempiranno le tasche con infinita gratitudine. In un mondo ideale, se questo succedesse, sarei anch’io un’eroina ufficialmente riconosciuta.

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