Che la musica abbia inizio! Quante volte avrò sognato di pronunciare questa formula magica durante la pandemia? Non che mi mancassero un buono stereo o fonti digitali cui attingere. Però quella sensazione di stare tutti insieme ammassati in una condensa sudaticcia, psichedelica e fumosa, la rimpiangevo tanto e, sì, chi se l’aspettava! Io che ero così schifiltosa da girare in maniche lunghe in estate, pur di non strusciare su qualche braccio troppo accaldato. In Europa ancora non se ne parla di concerti live, anche perché meteorologicamente è inverno e lo spettro delle ondate infettive aleggia infido su di noi. Ma in Argentina, ragazzi, sembra tutto riniziato.
In una città grande come Buenos Aires infatti, complice la bella stagione invertita, il divertimento notturno è ripreso appieno. E il bello è che nemmeno la globalizzazione sembra aver condizionato gli allestimenti dei locali, che sono bellissimi, creativi e per niente fatti con lo stampino. Mi sono ricordata di quando in Europa non si era schiavi delle grandi catene e si faceva dell’unicità e delle idee originali il proprio marchio vincente.
Mi è venuta in mente la Rimini degli anni 80, i suoi spazi, anche se li ho vissuti solo attraverso i film. La musica comunque è diversa in Argentina: più anni 90 forse, con una spettacolare rimasterizzazione di pezzi pop britannici o comunque anglo. Quando dico rimasterizzazione, tuttavia, alludo solamente alla qualità: niente “Tu vuoi fa’l’americano” in stile unz-unz.
Diciamo che hanno cancellato il rumore di fondo delle cassette, le righe dei CD, e convertito tutto in HD. Ed è questo che, con mia grande sorpresa, la gente normale ascolta. Entri in un taxi e quello ti mette su Depeche Mode ed INXS ripuliti. Vai in un disco-bar e ci trovi una banda di quarantenni cappelloni a torso nudo che si scialano a suonare pezzi dei Cure.
Sorprendente questa trasversalità, perché poi nello stesso bar trovi anche ragazzi molto più giovani, che cantano gli stessi pezzi con uguale foga. Ovviamente, se vai in discoteca non puoi non incappare nell’ingiudicabile Reggaeton. E vabbè, nessuno è perfetto: per educazione, fai quattro salti con i DJ residenti, bevi uno spritz-aperol del tutto inaspettato dopo le 22, e avanti con la notte. Non senza chiederti: “ma come è possibile che il tempo qui si sia fermato”?
Ho trovato una risposta sensata per caso, andando a vedere una mostra sul rock Argentino. Ho infatti scoperto che dopo la guerra delle Falkland, quella contro la Gran Bretagna della Thatcher, in tutto il paese fu proibito ascoltare musica in inglese. Parliamo del ’82, dopo cui la proliferazione delle band locali giunse al suo apice.
Fecero un ottimo lavoro i vari Charly Garcia, Soda Stereo, Hija de Roque Enroll, per carità. Se non fosse che ai loro connazionali è rimasto quel gusto per il proibito che ti fa continuare a “trasgredire” anche quando i divieti non esistono più. E allora via, spacchiamoci ancora con i Joy Division e i Talking Heads, che non è mai troppo tardi! E se ci viene un po’ di curiosità ascoltiamo pure questo Luca Prodan, un italiano che, sicuramente con più grinta di Albano e Toto Cotugno, ha fatto la storia della musica fuori dai nostri confini.
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