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  • ALESSIA BIASATTO

    No Narco Colombia

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    Chi non si ricorda del famigerato cartello di Medellin? Direi che in Italia è più famoso dei peggiori bar di Caracas. Immagino sia per questo che molti amici, sentendo che andavo in Colombia, hanno fatto una faccia come per dire: “ma sei matta, non è pericoloso?”. Beh, risponderò a tutti i preoccupati per iscritto: dipende da cosa si intende per pericoloso. Vivendo a Barcellona posso dire che non mi spaventano i borseggi o i piccoli furti ai turisti; sono cose cui una deve fare il callo, soprattutto se ha la pretesa di andare in giro per il mondo.
    Per quanto riguarda il resto, ovvero la paura dei Narcos, magnificata dalle serie televisive contemporanee, mi sento di dire che va ridimensionata. Ovvero: il problema persiste ma non è così acuto come anni fa, prima del 2018.
    Non c’è più la guerriglia anche se qualcuno potrebbe obiettare che sono passati solo cinque anni da quando i combattenti hanno posato le armi. L’azienda che riforniva le uniformi ai miliziani si è messa a fare zaini e marsupi e la gente normale li compra perché sono considerati cool. Dirò di più, prima vi lavoravano le sole donne (indovinate perché) e adesso si sono incorporati anche gli uomini. Secondo me sono tutti segni che cinque anni non sono pochi per un paese giovane e in rapida evoluzione. Inoltre, se uno avesse patemi inossidabili, può tranquillamente stare lontano dalle zone più a rischio, visto che la Colombia è una nazione molto estesa e ha delle enormi barriere naturali al suo interno.
    Nel paese arrivano viaggiatori da molti continenti ma non si può dire che ci sia ancora un turismo di massa in cui sgomitare per fare una foto. Quindi vi dico che visitare le zone più turistiche per il momento va bene. Anche lì ci sono scorci splendidi e paesaggi inaspettati come certe zone montane (oltre i tremila metri) dove la vegetazione cresce lussureggiante. Oppure si può andare fino alle spiagge di dune sahariane al confine con Venezuela e proseguire fino alla giungla. Volendo fare nomi e cognomi, vi invito a visitare soprattutto i paesaggi del Paramo che circonda Bogotà e la zona del Parco Tayrona, dove a malapena potrete fare il bagno per la violenza delle onde ma che forse potrete percorrere spensieratamente a cavallo.

    Il Paramo in particolare è un ecosistema montano in cui piante chiamate frailejones assorbono abbondanti piogge e le immagazzinano in modo da creare delle riserve d’acqua naturali nel terreno adiacente. Per questo motivo l’impressione è quella di trovarsi in una Svizzera equatoriale, costellata di laghi che non sono alpini ma li ricordano molto, così come l’incredibile vegetazione che vi cresce intorno.
    La linea delle nevi perenni infatti, sulle Ande, si alza al di sopra dei 5000 metri e qui, a quota tremila, troviamo ancora margherite, mucche dal pelo lucente e staccionate degne della Val Pusteria. C’è da dire che proprio le zone montane, prima del 2018, erano il principale teatro delle azioni dei cartelli e dei paramilitari ma che, paradossalmente, questo si è rivelato un vantaggio per la preservazione dell’ecosistema.
    Dal momento che nessuno ci metteva piede, infatti, e tantomeno le multinazionali americane, non c’è ancora traccia di fabbriche, petrolchimiche, o delle indimenticabili miniere sudamericane ritratte nei tristi scatti di Sebastião Salgado. Al contrario, ci sono dei bellissimi sentieri tra le piante, moltissimi ciclisti (con bici incredibilmente competitive) e ottimi ristoranti campestri dove si servono prodotti locali. L’esperienza può diventare top se si passa una notte riscaldandosi intorno a un caminetto e pensando che ci si trova solo a qualche centinaio di chilometri dalle Equatore.

    Il parco Tayrona, invece, ricorda di più gli ecosistemi asiatici. Qui la giungla predomina e arriva direttamente al mare. Dopo un bel trekking circondati da scimmie e serpenti (cercate di andare di giorno o a cavallo per l’appunto), si può passare la notte in una tenda in affitto, quasi sulla spiaggia. Non sarete i soli esploratori e probabilmente non consumerete il pasto migliore della vostra vita, visto che i ristorantini del parco sono isolati e spartani. Però potrete consolarvi con il prodotto stella confezionato dagli indigeni che vivono in comunità protette della zona: il profumatissimo pane di mais ripieno di cioccolato.

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