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PANGA RILENE – Alessia Biasatto
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  • ALESSIA BIASATTO

    Selezione da

    PANGA RILENE

    JUAN TOMAS AVILA LAUREL

    Mi chiamo Panga Rilene grazie a mia madre, una donna misteriosa. E se ho preso la decisione di parlare di lei e della sua vita è stato precisamente perché non avevo un’idea ben chiara di chi fosse o era stata. Tutto quello che so di lei, o di ciò che era stata, l’ho appreso solo tempo dopo di TUTTO. Ma ciò a cui mi riferisco, ciò che chiamo TUTTO, non è una cosa qualsiasi ma un fatto inaspettato, che cambiò realmente TUTTO. Per questo motivo tale fatto si chiama TUTTO, per essere stato ciò che definì la loro vita e che fece sì che niente del loro passato tornasse ad essere come prima, come se dicessimo, ed è vero, che dopo di ciò niente tornò ad essere uguale. Fu come ciò che in un tempo lontanissimo si chiamò il D-day, e che poi si continuava a chiamare il D-day con molto timore, essendo qualcosa che non era mai successo, però di cui tutti avevano paura. Ciò che capitò con la famiglia di mia madre fu che ciò che si temeva successe e nessuno se ne rese conto fino a che scoprimmo che niente sarebbe stato uguale per nessuno, in tutto ciò che si conosceva come mondo, world, il mondo intero, le monde. Tutto era cambiato tanto che, chiunque facesse riferimento a forme di vita quali andare in un bar o entrare in un mercato, era considerato un fossile vivente, perché erano usi e costumi passati e che non avremmo mai più avuto. Mi chiamo Panga Rilene grazie a lei, e fino a che decisi di scrivere ciò che appresi esser stata la sua vita. Vissi senza sapere ciò che era stata, senza sapere ciò che era, senza sapere che ne sarebbe potuto essere del mio futuro nei luoghi dove c’era un apparecchio che potesse render conto della mia esistenza vaporosa. Sono una donna, ed era una cosa così insignificante, avevo talmente poche radici, che nemmeno conosco il nome che avevo prima di adottare quello di una donna che posso dire di conoscere, ma che di fatto non conosco a sufficienza per poterne scrivere. Ricordo, prima di aver preso coscienza di chi io potessi essere, o delle mie vaporose radici, che mi trovavo nei panni di uomo, con camicie colorate e jeans a zampa di elefante. Era il mio travestimento per sfuggire allo stato di donna che non poteva fare niente. Dunque, mi vestivo così e perfezionavo il costume con degli occhiali grandi, rotondi, scuri, perché non vedessero niente dietro, in modo che non scoprissero lineamenti femminili sul mio viso. Allora mi ricordo di essermi trovata in un luogo chiamato Manila, che non so se è lo stesso posto di uno chiamato Singapore. Vestito come ho detto, andavo nei bordelli, come l’uomo che volevo essere, con l’intenzione di andare a letto con le donne che c’erano. Prima di entrare nei bordelli di Manila che, come ho detto, potrebbe essere anche Singapore, accendevo una cicca e fumavo con bramosia, ed esalavo il fumo davanti a me come avrebbe fatto un fumatore cui non faceva paura il fumo. Quel fumo usciva dalla mia bocca e si diffondeva nell’ambiente e questo mi consolidava nel mio ruolo dell’uomo duro che volevo essere. E quando mi aprivano le porte i bordelli che frequentavo, coloro che aprivano sapevano che ero un uomo con i jeans a zampa di elefante, camicia floreale, occhiali scuri e un alone tossico che rivelava il mio furore di fumatore. Vedendo il mio brio, mi aprivano le porte e poi passavo a vedere le ragazze disposte a offrire il loro corpo a quanti le sceglievano. Dunque, le guardavo, e non smettevo di fumare, il fumo mi precedeva, e avevo l’aspetto arrogante di chi poteva pagare per ciò che sceglieva, e facevo anche una smorfia che denotava certo disdegno per le donne che mi presentavano. Passavo davanti alle ragazze, o passavano loro davanti a me con il loro sorriso migliore, dicendomi il loro nome, e la mia vera vita non mi impediva di fare una smorfia che rivelasse ciò che volevo esprimere. Però, a quel tempo, la verità era che le vedevo e non mi piacevano, e scoprivano immediatamente la ragione di quell’avversione. Ricordo che il mio stato, che era lo stesso che mi spingeva lì, era così strano che una volta chiesi a una delle ragazze in sfilata davanti a me come potesse dedicarsi alla prostituzione avendo una pancia di quella taglia. Ricordo che le dissi qualcosa del tipo: chi puoi tenere su un ventre così bombato? Sì, era una ragazza, o donna, o magari anche un uomo, che aveva una pancia troppo bombata per dedicarsi a quello cui si dedicava, cosa che mi fece schifo, e così glielo feci sapere.