Non volevo che la mia prima esperienza in una riserva indiana fosse come andare al supermercato, o peggio, allo zoo. Per questo motivo avevo glissato sulle riserve vicine a Toronto, che mi sembravano più dei SERT, o delle case famiglia per persone con problemi svariati. So che la mia visione può apparire un po’ naif, a qualcuno anche ipocrita, ma volevo conoscere la parte più luminosa della cultura indiana, come primo impatto. Iniziamo col dire che qui i nativi vengono chiamati First Nation ed hanno ricevuto, oltre alle scuse ufficiali del governo canadese, anche un cospicuo risarcimento.
È bello vedere come questi soldi siano stati usati per costruire delle comunità culturalmente attive come quella di Alert Bay, che riunisce nativi ‘Namgis realtivamente ben integrati e soprattutto custodi delle tradizioni tramite il centro culturale U’Mista.
Sono contenta di esserci approdata anche se noto che, probabilmente per motivi sociali, c’è una certa tendenza ad omologare l’artigianato all’arte di prima categoria. Questo senza voler nulla togliere al primo.
Non mi dilungherò nella descrizione delle innumerevoli maschere rituali e costumi che si possono apprezzare nel centro, anche perchè, se devo scegliere un posto dove mandarvi a vedere i totem più belli, alcuni dei quali espressione di vera arte, questo sarà sicuramente Duncan, qualche centinaio di km più in giù.
Quello su cui secondo me merita soffermarsi, comunque, è il modello di inclusione offerto da Alert Bay, che raramente si trova in altre riserve americane. Non ho visto alcolisti nè tossicodipendenti, insomma, ma manufatti e sani cartelli di protesta contro il salmone di acquacoltura, che minaccia i sistemi di pesca tradizionali della comunità ed ammicca al monopolio dei sapori modificati. Nelle acque intorno all’isola, oltre ai prelibati salmoni in libertà, ho visto fluttuare centinaia di tronchi trascinati dalla corrente e solo poche segherie che mandano avanti un’industria tutto sommato sostenibile.
Anche per questo nel nord dell’isola di Vancouver, la sua parte più selvaggia, è ancora possibile avvistare le orche, che nuotano in gruppetti familiari emergendo a turno, come nel saliscendi di una giostra a carillon.
Sì perché grazie ai sonar è possibile sentire i loro suoni, per meglio dire le lingue in cui comunicano all’interno delle famiglie. In questa baia e nelle isole dirimpetto a Telegraf Cove ci sono quattro clan canterini, i cui membri, madre e figli, nuotano uniti fino alla morte. Ognuna delle famiglie ha un codice diverso e distinguibile anche da un orecchio umano.
In questo modo gli studiosi, ma anche gli altri animali presenti come foche e balene, sapranno subito se, ad esempio, si tratta delle pericolose orche assassine, letali anche per gli umani o delle orche delfino, simpatiche e giocherellone proprio come i loro fratellini grigi.
Se arriverete fino a Telegraf Cove l’escursione in barca è veramente tassativa: sarà un’esperienza unica anche se le norme di navigazione non permettono di avvicinare i cetacei tanto quanto in Sud Africa, per me il miglior luogo di osservazione in assoluto.
C’è da dire anche che questo grazioso paesino in stile norvegese ha altre storie da raccontarvi: quella degli immigrati giapponesi che arrivarono prima della guerra ad esempio e furono poi allontanati per la presunta connivenza, oppure quella del primo telegrafo e del mulino ad acqua, che diede da mangiare alla piccola comunità per anni, permettendole di prosperare nelle case che ancora oggi punteggiano i moli con colori vivaci. Vedendo l’archivio di fotografie color seppia esposte nell’antico spaccio mi sembrava un’ennesima eppur piacevole versione dell’antologia di Spoon River, questa volta ambientata su di un fiordo gelato.
Ultima nota utile: ho compiuto il periplo dell’isola in camper, ma non saprei se consigliarvelo. La natura intatta a volte non lascia spazi neanche per parcheggiare ed è davvero difficile pernottare fuori dagli RV, i parcheggi-lager per camperisti.
Inoltre, anche se tentate la sorte in qualche piazzola isolata (e comunque di cemento), uno ha sempre quell’ansietta sottile derivata da orsi grizzly e puma a piede libero. Ebbene sì ci sono, e si avvistano -addirittura nei camping- con una certa frequenza. E se non vengono loro a disturbarvi può sempre venire la polizia, per darvi una multa.
A voi dunque la scelta, novelli Magellano o Livingstone, ma tenete presente che le ostriche e la comodità degli alberghi di Tofino, a conti fatti, non sono molto più esose del campeggio “libero” e delle contravvenzioni.
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